Prefazione – 2023
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Nel I secolo dell’era volgare, l’imperatore romano Claudio, che regnò dal 41 al 54 d.C., fu un appassionato studioso del mondo etrusco. Pubblicò, in lingua greca, un’opera monumentale sugli Etruschi, composta da venti libri, intitolata Tyrrhenikà.
Purtroppo, questo testo non è sopravvissuto al tempo: una perdita gravissima, poiché su questo popolo autoctono che abitava un’ampia area dell’Italia centrale in età antica (Toscana, gran parte dell’Umbria e dell’alto Lazio) e parlava una lingua non indoeuropea — oggi decifrata ma non ancora compiutamente interpretata — gli autori greci e romani, come Erodoto, Dionigi di Alicarnasso, Livio e altri, ci hanno trasmesso molte informazioni, ma nessun trattato sistematico.
La moderna etruscologia, nondimeno, ha compiuto enormi progressi. Il XX secolo ha visto l’opera fondamentale di Massimo Pallottino, Ranuccio Bianchi Bandinelli, Guglielmo Maetzke e molti altri. A Firenze, la cattedra di Etruscologia è stata a lungo occupata dal professor Giovannangelo Camporeale e dal professor Luigi Donati.
Un anno fa, Donati ha richiamato l’attenzione pubblica sulla presenza di una tomba etrusca principesca che si suppone ubicata sotto il Cimitero degli Inglesi, oggi situato in Piazza Donatello. L’antica strada che collegava la città etrusca di Fiesole alla riva destra dell’Arno passava proprio attraverso la zona di Borgo Pinti, che inizia di fronte al Cimitero degli Inglesi. Secondo Donati, in quell’area si estendeva un’ampia necropoli etrusca.
Un’eccezionale urna funeraria etrusca in terracotta (cinerario), risalente alla metà del VII secolo a.C. e rinvenuta a Montescudaio (in Val di Cecina, Maremma pisana), raffigura sul coperchio la plastica rappresentazione di un uomo banchettante. L’uomo, evidentemente defunto, siede davanti a una tavola riccamente imbandita; accanto a lui si trova una figura servile in piedi che mescola il vino in un grande dinos posto accanto. L’opera è oggi conservata al Museo Archeologico di Villa Guerrazzi a Cecina. È una testimonianza fondamentale per comprendere che gli Etruschi, fin dai tempi più antichi, erano soliti mangiare seduti a tavola e che l’uso del kline, il tipico letto-sofà utilizzato durante i banchetti, si diffuse soltanto più tardi, dopo l’influenza delle colonie greche, soprattutto della Magna Grecia e della Sicilia.
Catullo e Virgilio, due grandi poeti latini, definirono gli Etruschi, o Tirreni, rispettivamente: oboesus Etruscus e pinguis Tyrrhenus (Carm. 37, 2 e Georg. II, 139). È evidente che i Romani considerassero gli Etruschi dei mangioni. In effetti, Ateneo di Naucrati, citando il filosofo greco Posidonio (I sec. a.C.), ci informa che gli Etruschi imbandivano le tavole due volte al giorno con tappeti colorati, vasi e coppe d’argento e che erano presenti numerosi servi impegnati a portare splendidi e preziosi indumenti (Deipnosofisti, IV, 153c).
La scultura antica conferma le descrizioni dei due poeti: il Museo Archeologico di Firenze conserva il coperchio di un sarcofago etrusco in alabastro, il cosiddetto sarcofago dell’obeso (da Chiusi, prima metà del III secolo a.C.). Il ricco defunto è raffigurato disteso su una kline. Il ventre è prominente, così come il petto e gli arti superiori.
Comprendiamo così che l’obesità rappresentava un status symbol della classe agiata cui quest’uomo apparteneva, e che l’evidente anello vistoso al dito della mano sinistra enfatizzava ulteriormente la prosperità del personaggio. Molti altri Etruschi corpulenti furono rappresentati nei sarcofagi provenienti da Orvieto e Viterbo. Degno di nota è il sarcofago dell’obeso conservato al Museo Archeologico di Tarquinia.
La tavola dei ceti comuni, tuttavia, era decisamente meno varia e più povera rispetto a quella aristocratica. Spelta e legumi erano gli alimenti più diffusi. Un piatto quotidiano era la puls, una sorta di polenta di farro che veniva condita con salse di carne o di verdure. Anche la zuppa di farro, come ricorda Giovenale, era uno dei cibi tipici della cucina etrusca (Satire, XI, 108).
Il pane era preparato con farina di frumento tenero e cereali vari. È bene ricordare che i campi tirreni producevano tanto grano che, in caso di carestia a Roma, i Romani acquistavano farina etrusca (Livio, II, 34).
Il consumo di carne, salvo rare eccezioni, era limitato a quella suina e ovina. Può sembrare una coincidenza, ma lo stufato di montone è ancora oggi un piatto tipico di Campi Bisenzio (vicino Firenze), entrato anche nella tradizione culinaria di Prato. In antico, gli Etruschi della zona consumavano carne ovina. Vale la pena ricordare che non lontano dal centro di Prato sorgeva il recente sito etrusco ritrovato di Gonfienti.
E gli Etruschi furono anche gli ideatori di una straordinaria specialità gastronomica: il prosciutto!

Cinerario di Montescudaio