Jazz: anche il cibo suona


Jazz: anche il cibo suona

Jazz: anche il cibo suona

 

di Franco Banchi

Non tutti sanno che l’UNESCO dal 2011 ha scelto il 30 Aprile come giornata mondiale del Jazz per celebrare questo famosissimo genere musicale, compreso la sua capacità di unire le persone in tutti gli angoli del globo.

Ascoltare il jazz è un’esperienza ancora più suggestiva se accompagnata con buon cibo. L’International Jazz Day è dunque il pretesto perfetto per evocare un pasto delizioso, che si adatti all’occasione ed aiuti ad “gustare” la musica con maggior intensità. Un abbinamento gastronomico in tema e ben scelto può risvegliare i sensi in perfetta simbiosi con l’atmosfera di un festival o di un jazz club insieme alle originali performance, uniche ed irripetibili, di una band.

I primi jazzisti di New Orleans avevano fra le loro più scatenate fan le donne, che, spesso, si trasformavano in ottime cuoche, rifocillando i musicisti fra un concerto e l’altro. Gli spettacoli nelle ballroom, o nelle più piccole barrelhouse, offrivano nel “pacchetto-serata” rifocillamenti tipici della cucina creola. Senza dimenticare chi, nelle estenuanti tournée in pullman coast to coast, oltre a suonare era chiamato anche a cucinare come la povera Billie Holiday che si racconta preparasse da mangiare per tutta l’Orchestra di William “Count” Basie.

Non è un caso che anche ai nostri giorni i più importanti festival jazz europei, ad esempio quello di Nizza, abbiano più volte accompagnato le esibizioni dei grandi jazzisti nell’arena Cimiez con colorate, rumorose e saporite cene all’aperto. È con vero piacere che ricordo personalmente in quei luoghi il mix virtuoso tra le sonorità di Dave Brubeck, Jerry Mulligan, B.B. King ed i robusti profumi della cucina creola.

Filosofia della contaminazione: dal jazz alla tavola

La storia stessa della cucina creola, come la musica jazz, è nata dall’incontro delle diverse culture, provenienze e tradizioni. Una cucina povera, robusta, fatta con ingredienti del luogo, resa invitante dalle spezie e dagli aromi arrivati da lontano. Gli “ingredienti” del jazz non sono molto lontani da questa filosofia.

A New Orleans la cucina e la musica jazz erano entrambe costruite sulla contaminazione. Quindi il matrimonio appare perfetto. Un esempio al riguardo proviene da due diverse eredità culinarie: la cucina cajun e creola.

Cajun erano i coloni francesi che dal Canada emigrarono nella bassa Louisiana alla fine del Settecento ed a New Orleans costruirono il quartiere francese, portando con sé cultura, ingredienti e ricette molto particolari che ancora oggi, dopo tre secoli, sono riconoscibili e parte della tradizione di quelle terre. La cucina cajun è una combinazione di cucina francese e tradizione del Sud degli Stati Uniti in cui carne affumicata, salsiccia di maiale piccante e riso nota come boudin o gamberi di fiume vengono cotti in una sola pentola: la jambalaya.

Ma forte è, come già detto, la cultura del cibo creola, prodotto delle discendenze europee e africane, caraibiche o ispaniche che qui costituiscono la maggior parte della popolazione. Questa “sacralità” è sancita dal primato di quella che è chiamata la “santa trinità”: peperoni verdi, cipolle e sedano.

Le peculiarità gastronomiche di questa culla del jazz erano e sono la trippa, le frattaglie, i cavoli rossi, i fagioli rossi con riso, (Fletcher Henderson ha anche scritto un brano in onore di questo piatto), giunture, code, zamponi, testina di maiale.

Il cibo tra suoni e sapori, parola ai jazzisti

Gli stessi jazzisti amano parlare del nesso sottile, ma indissolubile che lega musica e cibo.

In una breve escursione mediterranea ci piace fermare l’attenzione su alcune istantanee.

Paolo Fresu, uno dei più importanti musicisti contemporanei, trombettista e compositore, ha recentemente prodotto un interessante album con Omar Sosa dal titolo Food, dedicato al piacere ed al bisogno del cibo, in tutte le sue dimensioni. Secondo il noto trombettista e compositore, nato in Sardegna e profondo conoscitore della cultura mediterranea, “cibo e musica sono due universi che si intersecano, accendendo emozioni”. Secondo Fresu, intorno al cibo si muove un unicum originale che la musica può efficacemente rappresentare: dagli inserti delle posate ad i tintinnii dei bicchieri, fino allo schioppettio della brace ed al gorgoglio dell’acqua versata.

Anche a Stefano Di Battista, affermato sassofonista Jazz, non sfugge il parallelismo tra musica e cibo, tanto da essere un “nutrimento assoluto per la mente” e procuratrice di sensazioni quasi fisiche, speranza, magia.

Su e giù per lo stivale: il jazz nel piatto e nel bicchiere

Negli ultimi decenni l’Italia ha scalato molte posizioni nel rapporto con la musica jazz: ormai è sede di importanti manifestazioni e festival, molto spesso accompagnate da cibo e vino del territorio. Dalle Alpi al Mediterraneo sono davvero intriganti le variazioni sul tema, molte create appositamente per impreziosire gli appuntamenti musicali. Si tratta di un vero e proprio tour gastronomico attraverso il nostro “stivale”. Ed ecco alcuni assaggi.

Gli chef della Val di Fiemme si sono spinti creativamente a dedicare specifiche ricette ai grandi del jazz. Così a Cavalese Duke Ellington ha potuto dare il nome ad un tortello di formaggio di capra su vellutata di porri con noci pestate. A Varena si è messo a punto una vera e propria jam session culinaria: gnocchi di rapa rossa e cuore caprino di Cavalese su mix di verdure. In quel di Predazzo la proposta ha riguardato il mitico Louis Armstrong: vellutata di pane nero con uova in camicia, spinaci e cubetti di Puzzone di Moena di malga. Anche i rifugi montani hanno dato il loro fondamentale apporto, come nel caso del Passo Rolle, con un tributo a Charlie Parker: nido di polenta con formaggi fusi di Fiemme e Primiero, fra note di marmellata di mirtillo rosso.

La stessa Torino è sempre stata attenta al connubio tra jazz e sperimentazione culinaria, con valenti chef che hanno curvato cibi ed ingredienti verso nuovi ed insospettabili orizzonti. È il caso del riso a cui si è cercato di infondere l’essenza stessa del jazz, quasi un fondamento musicale su cui poi andare a costruire tutte le jam session e i divertimenti che vogliamo. Ecco che si parte da una base di riso molto saporita frutto della tostatura a secco, dalla cottura con acqua delle ostriche in diverse consistenze, con burro di mare ed olio all’aglio orsino. Una preparazione per incrementare ulteriormente la percezione dell’ostrica e del sapore di mare in bocca.

E non mancano soluzioni più giovanili e casual come la pizza Gombo Jazz, ricetta inedita con crema di asparagi aromatizzata con spezie creole, gamberi marinati in lemon grass e maionese leggera al sedano oppure l’Hamburger alla Louis Armstrong. In questo caso si uniscono in modo equilibrato e armonioso elementi poveri come il pollo a ingredienti più ricercati – e a suo tempo proibiti – come il whisky che aromatizza la salsa barbecue. A completare il burger cetriolo marinato

in casa, insalatina e cipolla disidrata e croccante.

 

Il vino è senza dubbio diventato uno degli accompagnamenti preferiti della musica jazz, come dimostra il gran numero di vigneti o cantine che, in tutto il mondo, ospitano festival annuali. In effetti, le due forme d’arte sono diventate così indissolubilmente legate che spesso jazz e vino sono descritti praticamente allo stesso modo. La musica jazz offre note e sfumature, proprio come un buon vino che contiene interi mondi da visitare ed approfondire più volte.

Uno dei tanti esempi viene da una delle patrie di elezione del vino in quanto tale con il celebre Jazz and wine in Montalcino. Spostandosi nel Sud Italia, indichiamo il Pomigliano Jazz, che nelle varie tappe musicali è solito comprendere la degustazione e conoscenza dei i vini prodotti con i vitigni autoctoni campani. Prima e dopo i concerti possibile immergersi nei colori, profumi e sapori dei vini del Vesuvio, su tutti il Lacryma Christi, la Catalanesca del Monte Somma, il Gragnano e il Lettere, l’Aglianico, il Greco, il Fiano, la Coda di volpe e la Falanghina nelle sue diverse sfumature varietali e nelle sue espressioni territoriali del Cilento, del beneventano e dell’Irpinia.

Quei dischi che “suonano” cibo

Dedichiamo l’ultima parte ad una curiosità. Ci piace ricordare alcuni famosi dischi Jazz, che, già nel titolo, fanno riferimento al cibo ed alla cucina, disegnando quasi un menù completo.

Potremmo iniziare con l’inconfondibile chitarra di Mark Knopfler ed il pensiero dedicato al My Bacon Roll. A seguire la frizzante interpretazione di Chili Peppers del pianista Duke Pearson. Ed ancora Cheeseburger in Paradise suonata dalla Jimmy Buffett Band e T-bone Steak di Jimmy Smith, mago dell’organo elettrico, per proseguire con un bel purè di patate (Mashed Potatoes) cucinato da Nat Kendrick & The Swans

E non possiamo farci mancare un bel canestro pieno di frutta assortita: anguria nel fieno di Pasqua (Watermelon in Easter Hay) del geniale Frank Zappa; Watermelon Man del pianista e bandleader Herbie Hancock e “strano frutto” (Strange Fruit) di Billie Holiday, vero e proprio monumento del jazz e blues. Mondiale.

Il menù può chiudersi con i suggestivi suoni di Tasty Pudding, interpretata da Chet Baker, uno dei più grandi trombettisti jazz, capace di creare un’atmosfera unica e rilassata, perfetta anche come accompagnamento musicale per una cena intima.

JAZZ A TAVOLA

Chet Baker – Tasty Pudding

Una playlist jazz non è una playlist jazz senza Chet Baker. Tra i più grandi trombettisti al mondo, la sua espressione artistica intimista è perfetta come musica di sottofondo per cena e dopo-cena. L’atmosfera creata da Tasty Pudding ne è la conferma: soffusa e rilassata, in pieno stile Baker.

Duke Ellington – Sugar Rum Cherry

Sugar Rum Cherry è una straordinaria rivisitazione di Ellington del Valzer dei fiori di Tchaikovsky. Sensuale e sinuosa, stravolge completamente la versione originale, riconoscendo il tocco straordinario di Duke Ellington. La vostra casa si trasformerà nel Cotton Club degli anni d’oro.

Bud Powell – The Fruit

Il pianoforte è una superficie liscia per Bud Powell, che sembra danzare sui tasti senza il minimo sforzo. Powell fu un vero virtuoso, una figura fondamentale per la nascita del jazz moderno. In The Fruit potrete gustare tutto il suo estro artistico e la fluidità dei suoni.

Duke Pearson – Chili Peppers

Stile elegante ed essenziale, Duke Pearson fu un pianista famoso negli anni Sessanta. La sua Chili Peppers unisce jazz e influenze funky, dal ritmo coinvolgente. La colonna sonora ideale per una serata frizzante.

Jimmy Smith – T-bone Steak

Soprannominato The Incredible Jimmy Smith, il suo segno di distinzione era l’organo elettrico. Con la sua musica influenzò la nascita del soul jazz, che prende spunto da blues, gospel e rythm and blues. Un trittico eclettico.

Paul Desmond – Samba With Some Barbecue

Lo stile di Paul Desmond venne ispirato dalle musicalità sudamericane e Samba with barbecue ne è l’esempio perfetto. Desmond disse di “avere un suono simile a un Martini secco”, a maggior ragione è la colonna sonora perfetta per un drink con gli amici.

Johnny Griffin – Hot Sausage

Griffin fu uno dei sassofonisti solisti più focosi della storia del jazz. Per questo Hot Sausage non poteva mancare nella nostra selezione di musica di sottofondo per cena. Ritmo e brio, i suoi arrangiamenti sapranno scaldare la serata.

 

Tony Scott & Bill Evans – Vanilla Frosting On A Beef Pie

Tony Scott, clarinettista, e Bill Evans, pianista, collaborarono negli anni assieme. E quando due grandi virtuosi del jazz si incontrano, il risultato è solo uno: un pezzo perfetto per un cocktail party impeccabile.

 

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