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ILDEGARDA DI BINGEN ED IL PANE DEGLI ANGELI


Franco Banchi
ILDEGARDA DI BINGEN ED IL PANE DEGLI ANGELI
Posted on 22nd Marzo 2021 by Franco Banchi
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Le sottigliezze della natura e la salute

Lungo il fiume Reno, nel tratto che separa Assia e Renania Palatinato, fra declivi pieni di vigne, castelli alteri, piccoli borghi dai tetti aguzzi e facciate ingraticciate, ha vissuto una delle figure femminili più significative dell’alto Medioevo, Ildegarda. La badessa benedettina, che nel Duecento ha fondato il monastero di Bingen, rappresenta la summa dell’enorme repertorio culturale del tempo, smisurato ma sempre trasmesso in grande umiltà. Racchiude in sé molteplici figure: donna di chiesa e teologa, scrittrice e musicista, filosofa e taumaturga, gemmologa e fitoterapista, cuoca e profetessa, molto altro ancora.

La cornice filosofica entro cui la mistica tedesca inscrive la sua visione del mondo è chiarita nella Explanatio Symboli: la prima azione dell’uomo parte dai cinque sensi; tale sapere innesca l’intelligenza, che, attraverso la scala delle creature e le grandi opere cosmiche, arriva analogicamente a Dio. Dunque il corpo non è un peso di cui liberarsi, perfino quando è debole, fragile e malato. Proprio grazie ad esso siamo umilmente “educati” al senso della creaturalità.

Ildegarda ha vivo il senso dell’ordito cosmico, tanto dialettico quanto complementare in tutte le sue componenti, la cui completezza non è somma o elisione di parti, ma esaltazione dell’oltre: “Il corpo e l’anima ci appartengono/ come l’uomo e la donna/ come il divino ed il terreno/. La terra e l’acqua/il sole e la luna/. Gli uccelli all’aria/ il pane al forno/. Ed il fuoco al miele”.

Per questo non è affatto sorprendente che, nel suo pensiero e nelle sue pratiche di natura mistica, psicologica, medica ed alimentare tutto sia annodato.

Nell’opera Le cause ed i rimedi leggiamo: “Quando l’anima dell’uomo ha sentito qualcosa di nocivo per sé o per il suo corpo, il cuore, il fegato ed i vasi sanguigni si contraggono. S’alza allora come una nuvola che adombra il cuore, di modo che l’uomo diventi triste”. La causa è fatta risalire alla perdita dei virtuosi nodi connettivi che legano natura, uomo e cosmo; gli effetti immediati quelli che producono la malattia o la disarmonia fisica e psicologica.

Madre Ildegarda è una grande indagatrice, teorico-pratica, dei rimedi che possono restaurare, a tutti i livelli, questa armonia perduta. Ad una condizione, tanto preliminare quanto fondamentale: recuperare la capacità di vedere ciò che sembra invisibile.

Ciò è fondamentale anche nell’ambito degli alimenti. Tutto ciò che è in natura, sostiene la monaca benedettina, possiede una “subtilitas” ovvero una qualità nascosta, che, dobbiamo sforzarci di intercettare anche in cucina, per coniugare buon cibo e salute, nella convinzione che “salus” indichi salute fisica, ma anche salvezza spirituale.

Alcune ricette della mistica tedesca vanno in questa direzione, come nel caso dei “biscotti della gioia”, che dissolvono l’amarezza del cuore, dischiudendolo, spalancano i cinque sensi, ci rendono gioiosi, riducono gli umori nocivi e restituiscono al nostro sangue la migliore composizione. Gli ingredienti, a parte quelli tradizionali nell’arte del fare i biscotti, sono soprattutto tre spezie: noce moscata, cannella e chiodi di garofano, dalle spiccate virtù terapeutiche.

A ciascuno il suo nutrimento

“Quando l’uomo nutre il suo corpo con temperanza, io nel cielo faccio risuonare la cetra”, così scrive Ildegarda in Libro sui meriti della vita. E la sua attenzione converge subito su una modalità di alimentazione personalizzata e molto attenta anche al contesto ambientale dello stare a tavola. Ad esempio, raccomanda agli adulti di consumare una colazione liquida ed un solo pasto principale al giorno. Finito il lavoro, una piccola refezione serale: “prima che cali il sole”, per “digerire con calma”. A bambini ed anziani, una colazione abbondante e più strutturata, pasti in maggior numero ma meno sostanziosi. Invita ancora tutti, indistintamente, a recarsi a tavola con il sorriso, non avvicinarsi troppo al fuoco, né pranzare in luoghi troppo freddi (nocivi alla digestione).

Ora veniamo alle tante ricette proposte dalla Badessa di Bingen come accompagnamento della giornata, in grado di combinare gusto, benessere psicologico, armonia fisica.

Punto di partenza è l’Habermus, colazione perfetta, eccezionale concentrato nutrizionale e scudo per molte possibili malattie. La base è data dal semolino e chicchi decorticati e spezzati di farro portati ad ebollizione, con aggiunta progressiva di miele e spezie (tra cui galanga e cannella). Negli ultimi minuti di cottura, a fuoco più lento, mescolare anche fettine di mele. Sulla mousse cotta spargere poi mandorle, semi di psillio e radice di piretro. Infine, durante il raffreddamento, completare con uvetta, mirtilli rossi secchi e succo di limone.

Questa colazione è anche un vero e proprio ricettacolo fitoterapico degno di uno speziale. Cerchiamo di sfogliare questo atlante, partendo dal farro. Per Ildegarda il farro (che lei identifica con quello antico e puro, il triticum spelta) è il migliore tra i cereali, insieme buono, nutriente, leggero, soprattutto una vera e propria cassaforte per la nostra salute. È molto versatile in cucina, in quanto utilizzabile per pane, pasta, risotti, dolci e tanto altro.

Gradevole, salutare e semplice l’insalata di farro con finocchi caramellati allo zenzero (dalle spiccate  proprietà digestive), mandorle saltate, menta (digestiva e contro i gonfiori addominali) e semi di girasole (eclettici salutiferi).Ottimo anche il caffè di farro a chicco intero tostato.

Le pignolerie della badessa a tavola

A proposito di pranzo, vera e propria specialità è il brodo di zampetto di vitello, ricostituente e depurativo, specificamente indicato per fortificare ossa, articolazioni e legamenti. È a base di vitello in piccoli pezzi (dal ginocchio al piede, cartilagine compresa e zoccolo escluso), tenuto a riposo nell’acqua fredda per tutta la notte e messo in pentola con un’ampia varietà di verdure (sedano, carote, finocchio, cipolle ed aglio) insieme ad una vera e propria enciclopedia di spezie (cerfoglio, levistico, alloro, galanga, piretro, timo serpillo, pepe cubebe e noce moscata).

In relazione alla carne, la badessa di Bingen dà consigli molto decisi, a volte particolari. Per esempio sconsiglia la carne di maiale, perché “non fa diminuire il flegma, né altre malattie”. La preferenza curativa è accordata al fegato cucinato. Quello di bue, gallina, pecora, capra, a vario titolo aiuta contro le malattie interne, ripulisce dagli umori, fortifica la mucosa dello stomaco. Al riguardo ci sono anche consigli più specifici: cuore e polmone non sono cibi per gli uomini; chi soffre di gotta mangi spesso fegato di capriolo e cesserà; la carne di cervo è ottima per la digestione, purifica dal muco; quella di pecora è indicata in estate e pessima in inverno; i capretti si mangino a fine autunno.

Parlando nello specifico dei pesci, la badessa di Bingen sviluppa un’interessante riflessione sulla catena alimentare, raccomandando di mangiare pesci che vivono in acque salubri: “Il branzino nuota tra le rocce, talvolta nelle grotte, dove cerca erbe buone e curative. Perciò la sua carne è buona per sani e per malati”. Anche il luccio è tra i migliori, visto che ha carne “soda e sana”. E questo vale anche per merluzzo, orata, gallinella, coregone, salmerino.

Grande spazio è dedicato alle erbe. Dettagliatissima la differenziazione tra crude, a vapore e cotte.

Tra le prime emerge il finocchio: “Non nuoce all’uomo se mangiato crudo, rende l’essere umano allegro, gli dà un bel colore, un piacevole odore e buona digestione”.

Le erbe a vapore sono delicate e non perdono le proprietà fondamentali. Ad esempio il crescione raccolto prima della fioritura, cucinato a vapore e condito con burro e sale, mantiene un sapore delicato, ma non smarrisce la nota pepata, che ricorda i ravanelli. L’artemisia, cotta a vapore e servita come gli spinaci, viene consumata di contorno a piatti di carne e, a volte, seccata in polvere in qualità di spezia.

Scivolando verso la conclusione del pranzo, grande rilievo ha anche la frutta di ogni ordine e specie. Particolari i riferimenti a due specie oggi in parte eclissate: la nespola e la mela cotogna. Per quanto riguarda la prima, “la sua forza è nel frutto, fa sviluppare le carni e purga il sangue” e può essere mangiata come tale, ma anche trasformata in marmellata. Con riferimento alle mele cotogne, Ildegarda propone quelle sciroppate, portate a bollitura dopo averle pulite e tagliate a fette, con aggiunta di acqua, succo e buccia di limone, zucchero, chiodi di garofano e cannella. Trasferite in contenitori sigillati, al fresco ed al buio, le mele verranno consumate in seguito.Molta attenzione anche per il momento in cui il pranzo si conclude. Spazio di rilievo è dato infatti ai digestivi. Per lo stomaco consiglia di far bollire nell’acqua le castagne sbucciate e meticolosamente sminuzzate, aggiungendo poi polvere di liquirizia e radice di polipodiumvulgaris. Un posto di riguardo anche per l’elisir di assenzio: succo di foglie e gambo raccolte a fine primavera a cui aggiungere, nel momento dell’ebollizione, miele e vino.

Sobri nel digiunare ed attenti ai cambi di stagione

La madre benedettina, esaltando misura e sobrietà a tavola, arriva anche al menù del digiuno, che è consigliato per molte patologie fisiche e vizi spirituali, ma sconsigliato se fatto in modo esagerato, perché così facendo non si dà al corpo la giusta e misurata nutrizione. L’idea di fondo è quella di astenersi da cibi pesanti per un periodo limitato. In tale lasso di tempo il nostro corpo risparmia quell’energia che a volta consuma in eccesso, che così viene impiegata per la disintossicazione, l’auto-guarigione, la rigenerazione mentale. Precisissimi i tempi e gli obiettivi del digiuno. Noi seguiremo il più deciso, che dura 8 giorni, l’intermedio, che si protrae per tre mesi, ed il più lungo (sei mesi).

Nel primo caso, si usano i liquidi al posto dei cibi solidi: tisana di finocchio o altre simili, caffè di farro; succo di barbabietola, mele o uva; minestra di verdura o semolino di farro. Nella versione mediana si consumano tre pasti quotidiani, ma senza proteine animali. Il farro è centrale (pane, pasta, semolino, fiocchi). Previste anche verdura e frutta. Nell’ultimo si alternano giorni in cui si segue la dieta intermedia ed altri in cui è possibile mangiare a sazietà solo farro e lattuga.

L’alimentazione non può ignorare i cambi di stagione. Ecco perché Ildegarda fornisce molti esempi. Riferendosi alla teoria degli umori della scuola salernitana, mette in guardia, ad esempio, sulla specificità climatica invernale, in cui sono prevalenti il freddo e l’umidità. Per questo il nutrimento deve adeguarsi, dando più spazio ai cibi caldi e secchi, per nutrire di più gli organi intensamente sollecitati (fegato ed intestino). Meglio far ricorso a cibi cotti anche a lungo, che, in tal modo, richiamano minor calore digestivo allo stomaco e permettono alle estremità delle nostre membra di non raffreddarsi eccessivamente. Consigliato l’uso, sia in cucina che a livello curativo, di spezie mirate atte a stimolare il calore corporeo e seccare gli umori umidi. L’elenco si compone di elementi onnipresenti (zenzero, galanga, chiodi di garofano e noce moscata), ma anche diversi (pepe, cumino nero, salvia). Segnalato anche un potente elisir contro le malattie di stagione, composto prevalentemente dalle parti aeree dell’issopo, finocchio, liquirizia, corteccia di cannella, succo di vite, che protegge le vie aeree e sana il sovraccarico epatico.

Il decimo coro angelico

L’acqua è un altro elemento fondamentale per la vita fisica e la salute dell’uomo. Dall’alto potere terapeutico, è incontro di molteplici energie, specialmente quelle che, in montagna, la fanno incrociare con l’ardore della luce solare e la preziosità delle pietre. E questa miscela di vita e salute arriva sia sulle nostre tavole che nelle farmacie. L’immersione delle pietre nell’acqua da bere, secondo Ildegarde, è taumaturgica in molte occasioni: il diamante cura l’itterizia; il cristallo di rocca riscaldato prima al sole induce miglioramenti per l’addome. Particolare la ricetta che riguarda il topazio, che, immerso per tre giorni nel vino, se avvicinato agli occhi li rischiarerà e guarirà.

L’intera scala delle creature è come traversata dalla corrente di un fiume, da una vis vitalis, che tutto anima e rende possibile, nutrendo e risanando.

La ricerca di questa nuova dignità e centralità umana anticipa di più di due secoli la stagione rinascimentale della scalata al cielo. Ciò è possibile perché “tutto ciò che è nei cieli, sulla terra e sotto terra, è compenetrato di interconnessione, con l’essenza di un reciproco rapporto”.

Captare questa trama segreta è intuizione repentina, procede oltre spazio e tempo, si riconosce per la commozione che produce ed obbliga alla sua trasmissione benefica. Pertanto “chi riceve deve dare”.

Addirittura più che coraggioso l’itinerario filosofico finale proposto da Ildegarda: recuperare quella dignità e gloria perduta in origine dagli angeli ribelli. In fondo l’umanità ambisce a diventare il decimo coro angelico.

Attraverso la “bellezza della razionalità” uomini ed angeli si scambiano, mescolano, fondono, esercitano “molta forza per uno scopo buono di splendore e benedizione”.

FRANCO BANCHI

Franco Banchi
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