Cari Lettori,
saprete sicuramente che arrischiarsi all’interno di questa rivista vuol dire avventurarsi tra le mille accezioni che il cibo e la sua cucina hanno avuto ed continuano ad avere nella storia e nella cultura dei popoli.
Ora, il primo significato che diamo da sempre al cibo in relazione all’evoluzione umana, è quello di essere da sempre un fattore importante nel disegnare e apprendere la varietà dei rapporti umani. Il suo aggregare dunque intorno ad un tavolo o altro spazio e da qui come tale spazio venga distribuito tra i commensali può perfino esser fonte di notizie sociologiche e culturali. In aggiunta, la stessa dieta in uso in quel preciso periodo storico o località ci può dare notizie attendibili sulla vita media delle persone, sulle malattie più comunemente diffuse, ed anche sulla componente psicologica che un popolo avrebbe potuto nutrire con quella particolare alimentazione.
Resta comunque il convivio e lo stare insieme il momento del cibo e la vocazione della cucina. Per ragione antropologiche certo, ma per ragioni ancora non del tutto conosciute ma meravigliosamente umane.
Lo dimostrano ad esempio i resti rinvenuti qualche anno fa in una grotta della Galilea posta a duecento metri sul livello del mare. La campagna di scavi durata molti anni ha infatti rinvenuto all’interno della grotta, dotata tra l’altro di una magnifica vista, ciò che rimane di quello che è stato definito come il primo party della storia. E che avvenne circa dodicimila anni fa. Una ricostruzione accurata ha potuto stabilire che gli invitati erano non meno di trenta e che il menù fosse stato preparato da tempo. Sono stati ritrovati i resti di tre esemplari di uro, un enorme bovino oggi estinto e di almeno settanta tartarughe.
Questa cospicua provvigione di cibo ha sicuramente occupato gli uomini in giorni e giorni di caccia non priva di pericoli e in molte e molte sedute dedicate alla preparazione delle carni tale, che il quadro che viene a presentarsi e quello di un popolo non più nomade ma stanziale che perciò inizia ad affiancare alla caccia l’agricoltura. Ma non solo, possiamo intravedere nell’ipotesi ormai evidente che il menù fosse stato preparato da tempo, il fatto che già allora la tavola e il mangiare insieme assumono un significato sociale e culturale fondamentale che oltrepassa la funzione primaria della nutrizione, per assumere forse già a quel tempo, un contenuto simbolico e rappresentativo.
Questi nostri lontani progenitori in sostanza, avrebbero consapevolmente dato il via ad un procedere di eventi che avrebbero portato alla preparazione e alla consumazione di un pasto collettivo, del primo party della storia appunto. Ma se così fosse stato, i nostri amici non solo avrebbero deliberatamente creato delle cause in previsione di eventi, ma in fondo senza saperlo avrebbero sperimentato i presupposti indispensabili dell’arte che sono il rigore e la costanza.
Dunque la cucina è un’arte. Naturalmente e per fortuna ben più sofisticata di quella di allora, ma della quale l’idea e la preparazione ne sono parti integranti. Un’opera d’arte è il risultato di un processo creativo che ha come fine quello di stimolare dei percorsi di conoscenza. Nella cucina in particolare dove la preparazione difficilmente può essere separata dal risultato finale, il piatto che viene servito a tavola è rappresentativo di qualcosa d’altro rispetto a se stesso dal quale non vorremmo aggiungere o togliere niente se è fatto come si dice, ad arte.
Come tutte le arti anche la cucina ha un suo giudice inflessibile, il tempo. Anzi, come la musica essa si muove nel tempo rispettandone i tempi e le pause. “Prepara questo, poi intanto che aspetti prepara quell’altro”. E naturalmente le dosi, con qualche tocco inaspettato e geniale come un clarinetto di Mozart. Una piccola sfasatura nell’orchestrare un piatto e tutto se ne va in fumo cosicché potremmo anche dire che l’arte della cucina non è che l’arte dell’equilibrio e dell’attesa.
Notoriamente sappiamo che la cucina è anche poesia. Ma dalla metrica ferrea come una terzina Dantesca. Dal rigore più stringente come abbiamo visto poiché è solo dal più grande rigore che possono nascere le ricette più fantasiose e prelibate. E tutto questo a causa di una meccanica mentale che vede l’uomo che è costretto a procedere per un sentiero stretto e ben definito, trovare percorsi che sarebbero impensabili nella situazione di assoluta libertà di movimento.
La cucina è allora un po’ come la vita nella quale niente può essere affidato al caso. E viverla al meglio non è altro che il rispetto dei propri limiti e nello stesso momento il riuscire a dare il meglio con gli ingredienti che si hanno a disposizione.
Intrigante metafora questa, se pensiamo alla quantità ed alla varietà di cibo disponibile nelle cucine più lussuose e la penuria di alimenti delle fasce più povere della popolazione mondiale.
Tuttavia se anche quei nostri antichi progenitori di cui sopra seppero non senza fatiche e perfino a rischio della propria vita, mettere insieme come si dice il pranzo con la cena, possiamo concludere che il cibo e la cucina hanno certamente legami reconditi con le arti tutte, ma più di ogni altra cosa essi sono un veicolo straordinario di fratellanza e condivisione, sentimenti questi tipicamente umani. E se il cibo da condividere è buono e ben fatto, è ancora meglio.