I GIORNI E LE FESTE: IL RINASCIMENTO FIORENTINO A TAVOLA


I GIORNI E LE FESTE: IL RINASCIMENTO...

Parlare delle feste fiorentine, con particolare riferimento al Rinascimento, significa scrutare in profondità la filigrana stessa della città del giglio, in tutte le sue sfaccettature e complessità. Le feste fiorentine hanno un apparente svolgimento lineare, ma nascondono altro, a volte le contraddizioni stesse. Ogni festa è l’una, l’altra o l’altra cosa ancora. La magia ed il capolavoro dei fiorentini risiede proprio nell’armonizzare i contrari.

Spesso, si incrociano o fondono la matrice pagana e quella cristiana. Pensiamo, ad esempio, alla modificazione, con forte accentuazione cristiana, della Festa di S. Giovanni, situata nell’intorno del solstizio d’estate e segno della grande vittoria pagana della luce, trasformata nell’incontro tra il “precursore” ed il figlio di Dio.

In tutte le feste cittadine il riferimento al sacro è dunque molto spiccato. E tale collegamento può estendersi al cibo stesso, tanto che nei semplici “ristori”, nelle tavolate dei quartieri e, più nello specifico, nei conviti del “potere” civico è come se si sedesse «a tavola con il cielo”.

Ed in nome del cibo avviene l’altro incrocio tra lo sfondo popolare e la marcata impronta del potere.

Entro questo gioco dialettico, l’assoluta certezza, dunque identità non contradditoria, è il rispetto del calendario: i giorni e le stagioni delle feste, con i loro riti comunitari consumati intorno alla tavola, dimostrano che l’unico signore egemone di Firenze è il tempo, nella scansione sacra e profana.

Le feste hanno ricoperto un ruolo centrale nella costruzione dell’identità civica attraverso celebrazioni comunitarie del santo protettore, vittorie militari e politiche, che hanno visto sfilare per le strade l’intero corpo sociale, laico ed ecclesiastico.

Ma la partecipazione alle Feste dell’intero corpo fiorentino non significava reale uguaglianza. Infatti è legittimo affermare che, ad esempio, le cerimonie del potere si configurano come bicefale. Tutto era per il popolo, ma niente veniva dal popolo.

Secondo Nicole Carew-Reid, l’abilità di Lorenzo de’ Medici (solo per fare l’esempio più emblematico) fu quella di far partecipare alle feste un popolo fiorentino entusiasta, che tuttavia doveva rimanere escluso dallo scopo principale dell’evento.

E questo è possibile riscontrarlo anche nel rapporto tra feste e cibo.

LO SCRIGNO DEL POTERE ANCHE A TAVOLA

Nel Giugno 1469 Lorenzo de’ Medici e Clarice Orsini si sposarono. Le celebrazioni durarono quattro giorni e furono presi generosi provvedimenti per far fare festeggiare il popolo. Ma il popolo, come dicono le tonache, era nella condizione di un invitato tenuto a debita distanza. Come scrive Del Lungo, lo stesso aspetto della città era stato modificato: diffusa presenza di musici e balli popolari per le strade; utilizzazione di fontane monumentali per servire vino in abbondanza e «contribuire ad un’ebbrezza di circostanza». In fondo, come rilevano altri storici, ciò che conta è far trovare il popolo in buone disposizione e letizia.

Ma il popolo, come dicono altri testimoni, era nella condizione di un invitato tenuto a debita distanza.

Con un’altra istantanea storica andiamo al Palazzo della Zecca, dove nel 1492, per la Festa di Giovanni, le autorità cittadine offrono ai rappresentanti delle principali Arti, ma anche ai fiorentini presenti, confetti, confortini, melarance e trebbiano.

Ma qui ha inizio la significativa divaricazione. Il popolo fece ritorno a casa a desinare, godendo del fatto “che per tutta la città – come scrive il Dati-  si fa quel dì nozze e gran conviti con pifferi e suoi e canti e balli e festa e letizia grande e ornamento che pare che quella terra sia il paradiso.» .

Invece, le autorità fiorentine, alla presenza di ambasciatori, ecclesiastici, cavalieri, passano al convito ufficiale (presenti 45 forestieri). Il banchetto fu largamente a base di pesce: 36 storioni, lamprede e molto pesce d’Arno e di marino.

Altra occasione emblematica per aprire lo scrigno del potere fiorentino in relazione alle feste è quella del 16 febbraio 1476: banchetto offerto ai figli del Re di Napoli dal ricco cittadino Benedetto, discendente del più famoso Coluccio Salutati.

Dalla cronaca si contano almeno 32 piatti e 15 vini secondo l’ordine rinascimentale. E ciascuna vivanda “veniva in tavola con buono ordine et a suono di trombe”, grazie a quella scenografia del convito rinascimentale che ha tra gli indiscussi protagonisti addetti quali: maestro di casa, scalco, trinciante, coppiere, credenziere, dispensieri, sovrastanti il piatto, spenditori, canevari (cantinieri), bottiglieri, cuochi (sopracuoco, cuoco segreto, di famiglia, dei forestieri…), paggi, musici.

In tale contesto è decisiva la forma della presentazione, quasi uno spettacolo nello spettacolo, come nel caso dell’arrivo in tavola dei pavoni arrosto, così descritti:

«(…) Quando venono i pagoni arrosto appresso al bianco mangiare, venne i tavola due bacini d’argento, in ciascuno uno pagone cotto, ritto in piè, acconcio co le sue penne, et con la coda rotata, che parevano vivi; et in becco avevano l’uno vino profummo, l’altro una certa materia odorifera, che ardeva come una candela, con certi brevi al collo che dicevano – MODUS ET ORDO – et al petto pendeva l’arme del signor Duca; quali non si tocarono, ma stati un poco in tavola per magnificenza furono poi levati”.

IL TEMPO “SACRO” A TAVOLA

Ma il cibo fiorentino delle feste ha anche un suo ritmo sacro. Nel febbraio 1428, le cronache cittadine parlano di una festa legata alla consegna del «bordone». Molti cittadini, tra cui il barbiere Francesco, detto Cacio, si preparano a partire per Santiago di Compostela. Questa memoria ci permette di fare una spigolatura sul cibo dei pellegrini. Cosa c’era nella bisaccia del pellegrino accanto al bordone? Pane (o farina per farlo), biscotti/gallette, altri alimenti (carne salata, formaggio, uva secca, mandorle…), almeno un otre di acqua buona, una limitata quantità di vino (in primis da offrire a malati e sofferenti), aceto (riconfortante, da mescolare all’olio per alleviare la fame), sciroppi vari o sidro.

Ma nella sfera del sacro possiamo comprendere anche l’attesa della festa Pasquale in monastero, in cui la preparazione del corpo e dell’anima passa anche attraverso il cibo.

Focalizzando l’attenzione sul consumo quaresimale di cibo nei monasteri sorprende la varietà e fantasia. Infatti più che di cibo povero è preferibile parlare di dieta ben assortita. Il mangiare di magro implica il primato del pesce: d’acqua dolce (di preferenza), consumato fresco, ma anche salato (sarde, aringhe, acciughe…), in salamoia o sott’olio (tonno). Presente anche il muggine (essiccato o bottarga).

Poi le erbe, molto duttili per realizzare diverse varianti. Solo per fare alcuni esempi: la persicharia (zuppa di ceci con erba pepe); crescione: zuppe o salse per pesce. E per finire le torte: su tutte quella dei tre colori o di Quaresima (di erbe e senza carne), con mandorle, prezzemolo o maggiorana, zafferano.

FESTE E CIBO NEL CUORE PULSANTE DI FIRENZE 

Ma lo spaccato più peculiare delle feste fiorentine in relazione al cibo è quello che ci porta a girovagare per i quartieri della città, attraverso una completa immersione nelle celebrazione sacre, civiche o delle arti e corporazioni. Seguendo il calendario, ci imbattiamo, ad esempio, nella festa di S.Lorenzo,11 Agosto, in cui maestri pastai e fornai nobilitano il loro mestiere con paste e lasagne ben condite e sulle tavolate del quartiere fanno la loro comparsa carbonata e porrea. Per proseguire, il 29 Settembre in S. Ambrogio, dove l’omonima compagnia celebra S. Michele con la distribuzione di giuggiole e la schiacciata con l’uva.

Ad Ottobre, intorno al pellegrinaggio alla Madonna dell’Impruneta, nasce la fiera di S. Luca, in cui i pastori, nella loro transumanza verso la Maremma, vendono i loro formaggi e derivati, mentre gli artigiani espongono i loro utensili. Nei luoghi di ristoro fa la sua gradita comparsa il pollo alla diavola.

Tra le celebrazioni più curiose quella del 30 Dicembre, S. Fiorenzo, protagoniste le rape (le ultime della stagione). Dopo la benedizione, nelle famiglie si cucina la minestra delle 3r, rape, riso e rocchi (la parte più secca e povera della salsiccia, vicina alla legatura).

Ma non dimentichiamo il 19 Marzo, festa di S. Giuseppe. In tutta la città si preparano le frittelle dalla ricetta “antica” e più rustica: una fetta grande di mela, borragine, un piccolo pugno di riso, uvette (se ci sono), olio o strutto.

Tante feste, i cibi e le ricette più varie, diversi mondi che si incrociano in nome di una città, che tutto ricompone.

«Firenze bella fa ogni anno di Feste a onore e riverenza dell’altissimo Iddio e a contemplazione e piacere del potentissimo popolo fiorentino.» (B. Dei, Cronica, 1472)

FRANCO BANCHI

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