Prefazione – 2023
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Le vie del sale sono antichi percorsi commerciali, rimasti invariati da secoli, che si snodano dal mare verso l’interno e viceversa. Ovviamente da ogni territorio partiva una “via salaria” usata per trasportare prodotti artigianali o alimentari verso il mare e, in senso contrario, per far risalire la preziosa merce marina. Attraverso un reticolo di strade e sentieri venivano scambiate le merci. Il sale poteva così essere utilizzato anche nelle zone più interne per la conservazione degli alimenti, l’allevamento degli animali, oltre che per diverse attività artigianali, rivestendo un ruolo fondamentale anche nei rapporti economici e sociali tra culture e paesi.
In epoca romana, con l’aumento esponenziale dell’uso e della richiesta del sale, furono realizzate nuove vie di comunicazione, fra cui la famosa Via Salaria propriamente detta, che collegava l’Adriatico, l’Etruria, le saline di Ostia e la foce del Tevere.
In epoca longobarda e carolingia la gestione del sale e del suo trasporto venne recuperata grazie anche alla fondazione di monasteri benedettini (come, ad esempio, il monastero di Bobbio).
Dopo la caduta dei Longobardi ad opera di Carlo Magno, il Sacro Romano Impero, con la costituzione dei feudi, si cercò di mantenere un passaggio sicuro verso il mare, garantendo, in cambio di gabelle, la sicurezza dei convogli.
Il sale diventa così uno strumento non solo di scambio ma anche di potere e fonte di grande ricchezza. Sulle vie salarie graveranno sempre più tasse-obolo o gabelle richieste per il passaggio. Ed è proprio a causa di questi dazi che i contrabbandieri studieranno vie del sale alternative, riprendendo mulattiere e antichi percorsi di transumanza. Il commercio legale e il contrabbando del sale renderanno non solo il Mediterraneo un’immensa salina, ma saranno il primo collante dell’Europa.
Dalle saline del Mediterraneo al Nord Europa, passando per Francia e Italia, le vie del sale sono state le prime grandi vie di comunicazione e commercio d’Europa, unendo mare e monti. Anche in Italia il sale ha lasciato la traccia dei suoi percorsi, che si inerpicavano sui pendii e nelle valli. Dove possibile, nella pianura, si preferiva effettuare il trasporto per via fluviale per limitare i costi, mediante grandi chiatte che arrivavano a trasportare anche 60 tonnellate di sale per carico. Nel Vallese, per facilitare il trasporto del sale venne addirittura costruito un canale, il Canale Stockalper, nella valle del Rodano. A Salisburgo, in Austria è stato il sale a dare una parte del suo nome alla città. Ed è stato il sale che rese Salisburgo ricca e potente.
Oggi le vie del sale, perso il loro valore commerciale, sono divenute meta di escursioni e trekking, snodandosi in ambienti integri e di particolare interesse naturalistico.
“Un lungo viaggio, quello del sale: dalle coste della Sardegna, della Corsica e della Camargue a quelle di Liguria e Provenza, quindi lungo le strade sterrate e le mulattiere verso il Piemonte, il Rhône-Alpes, la Valle d’Aosta e la catena delle Alpi del Nord, fino al Lago di Ginevra, dove prendeva le grandi vie d’acqua del Nord Europa. Un intreccio di vie, divenute percorsi storici suggestivi. Spesso sono diventate le attuali vie di comunicazione, altre itinerari per il trekking e mountain bike.” (Teresio e Giovanni Panzera, Le vie del sale, una storia economica e culturale millenaria).
Le vie del sale, les routes du sel, i camin saliè (in provenzale), che collegano Liguria, Piemonte, Francia, partono dal Mediterraneo, in particolare da Cagliari. Qui, la storia dell’estrazione del sale marino risale a circa 3.000 anni fa, dalle saline Molentargius, di Carloforte. Dai siti della Sardegna a Porto Vecchio in Corsica, una città del sale per eccellenza, alla Camargue con le saline più importanti del Mediterraneo e più antiche di Francia, Les Aigues Mortes, dove si raccoglie il bianchissimo e prezioso fleur de sel. Senza dimenticare Marsiglia (prima città a ottenere, nel 1016, la concessione per il commercio del sale) e Nizza, la quale, durante i secoli XVI e XVII, insieme ai Paesi che costeggiavano la via del sale, visse l’età dell’oro: era un continuo passaggio di carovane di muli (circa 30.000 l’anno).
Ampie zone delle coste erano occupate da impianti per la produzione del sale. In Italia i più importanti furono, probabilmente, quelli situati vicino a Roma in prossimità delle foce del Tevere (saline di Ostia) e di quelle, di origine etrusca, vicino a Fiumicino. Ben nota è anche la strada che proprio dal sale prendeva il suo nome, la Via Salaria, attraverso la quale questo prodotto giungeva da Roma sino alle zone più interne della penisola. Il commercio di sale non si fermò con i Romani, anzi, si diffuse e ampliò in tutta la penisola anche dopo la caduta dell’impero, in particolare nelle zone di Comacchio e Venezia, che divenne il principale centro nel medioevo, ma anche di Genova e Brindisi, per poi essere trasportato all’interno attraverso le vie di comunicazioni fluviali, in particolare il Po e i suoi principali affluenti.
La Via del Sale: commercio e contrabbando, tra storia e leggenda
Le vie del sale erano le vie dei pellegrini, dei commercianti e dei contrabbandieri. Si snodavano spesso lungo antichi confini o vie medievali.
È questo il caso del cammino del sale che si snoda lungo il confine tra Liguria, Toscana ed Emilia che coincideva con la via dei Linari ed era una variante della più famosa via Francigena.
Altre vie, che collegavano il Basso Piemonte alla Liguria sono state, per secoli, importanti vie commerciali. Indispensabili materie prime come il sale, l’olio e le spezie dai porti liguri e provenzali risalivano le valli ed i passi dell’Appennino, per finire nei mercati dei principali centri urbani della pianura padana. Altri prodotti come il vino ed i cereali facevano il percorso inverso per giungere sulle piazze di Genova e della Liguria. Tutte queste vie, un insieme di mulattiere e sentieri, erano anche denominate “vie marenche” (da marincus = “che viene dal mare“) cioè “vie del sale”.
Il cammino del sale è infatti un viaggio che unisce le Alpi al mare. Le vie del sale, creano un patrimonio culturale comune, un senso di appartenenza a un territorio di passaggio ligure, provenzale e piemontese. Il sale consentiva di conservare a lungo le derrate alimentari, come la carne ed il pesce. In particolare la salatura costituiva spesso l’unico modo per trasportare il pesce marino in buone condizioni in zone lontane dalla costa (e permetteva di nascondere il prezioso sale sotto uno strato di pesce). Tra i pesci salati che “viaggiavano” lungo i percorsi delle vie del sale, il più umile, ma anche il più significativo per la gastronomia piemontese, fu senz’altro l’acciuga: essa divenne ben presto il pesce più usato nelle terre subalpine grazie alla diffusione garantita dai mercanti provenienti dalle terre liguri e provenzali e dagli “ancioè”, gli acciughai, che percorrevano tutto il Piemonte per portare questo pesce saporito negli angoli più lontani del territorio. Ed è qui che si inseriscono gli acciugai della Valle Maira, a cui lo scrittore Nico Orengo, ha dedicato il libro Il salto dell’acciuga. Piccola gemma ingiustamente dimenticata, Il salto dell’acciuga parte proprio da questo pesce minuscolo e umile per dischiuderne invece l’importanza all’interno della nostra tradizione: ne emerge un viaggio lungo le antiche tratte del commercio del sale, dalle alterne fortune della repubblica marinara di Genova ai Savoia che fecero ricchezze proprio con le tasse sui valichi alpini attraverso cui il sale passava per raggiungere il Nord Europa. E da qui si fa la storia della cucina che ci porta dal garum dei romani fino alla bagna caoda. Un viaggio carico di sapori, colori, pescatori, contrabbandieri, navigli, valichi, rade, porta le acciughe nelle Langhe, nel Monferrato, nel Saluzzese o nel Vercellese, in Brianza, a Pavia come a Milano, e spiega perché una specialità gastronomica piemontese, la bagna caoda, sia a base di acciughe.
Leggendo Orengo si ha la nettissima sensazione che tutto sia collegato: non serve arrivare alla fine del Novecento per parlare di Unione Europea. C’era da secoli antichissimi una comunità europea sotterranea – anzi sottomarina – che legava appunto la Liguria al Portogallo e poi su attraverso le nazioni alpine fino alla Scandinavia ghiotta di pesce sotto sale. Non è solo un’unione simbolica, ma una comunanza fatta appunto di lavorazioni, commerci, cultura che si tramanda e scambia.
I cammini del sale portano sviluppo economico ai territori che attraversano. I mercanti ed i viandanti, che avevano necessità di spostarsi da un centro all’altro, potevano contare, lungo i differenti percorsi, sulla presenza di locande, rifugi, pievi, fortificazioni e dogane, dalle quali i feudatari controllavano il loro territorio e si impegnavano a mantenere sicura la percorrenza delle strade. I carovanieri variavano le tappe dei loro percorsi in base alle stagioni e alle esigenze dei loro commerci, scegliendo percorsi di fondovalle o di crinale, toccando diversi borghi e contrade dell’Appennino, percorrendo alcune direttrici principali, frammentate in differenti itinerari secondari.
Ad inizio Ottocento, con la costruzione di più comode e veloci vie di comunicazione e lo sviluppo di nuove modalità di trasporto, le “vie del sale” caddero progressivamente in disuso.
Oggi il lascito di questi antichi percorsi è un insieme di sentieri divenuti un appuntamento tradizionale per gli amanti dell’escursionismo. Essi permettono di effettuare sia camminate di alcune ore, sia trekking di più giorni, con diversi gradi di difficoltà, immersi in paesaggi e contesti naturali suggestivi, attraverso borghi dalle tipiche architetture liguri, dominati da castelli, chiese ed oratori. Anche “escursioni” in auto possono far apprezzare queste valli, con i loro aspetti storico-culturali e paesaggistici, scoprendo i sapori di questo “territorio-ponte”, sostando in agriturismo o nelle osterie che si incontrano lungo la strada.
Percorsi del sale “storici” sono le vie del sale piemontesi, in tutte le varianti. Sono quelle che da Genova, Imperia, Savona, ma anche dalla Costa Azzurra e dalla Provenza raggiungono il Monferrato, Cuneo, Saluzzo, Asti, Torino. Mettendo in comunicazione la pianura padana con la Liguria o i territori francesi della Provenza si permetteva il commercio di questo materiale prezioso, che era di difficoltoso reperimento nelle regioni del Settentrione, lontane dal mare. Lo stesso dicasi per il commercio in altre regioni, o aree geografiche, tra le coste ove il sale era prodotto e le zone interne dove il bene era richiesto.
Una delle vie del sale piemontesi mette in comunicazione Limone Piemonte (Cuneo) con Ventimiglia (Imperia) ed è utilizzata ancora oggi come percorso di trekking e mountain bike, coincidendo per alcuni tratti con la vecchia strada militare e con l’Alta Via dei Monti Liguri; essa si snoda per intero all’interno delle Alpi Liguri. Un’altra, meno nota, metteva in comunicazione il territorio saluzzese con il Delfinato e la Provenza, in Francia, attraverso il tunnel del Buco di Viso, minuscolo tunnel di 60 m., realizzato nel 1480 per collegare le saline ella Provenza a Lesa Aigues Morte con la Valle del Po e il marchesato di Saluzzo. Il Buco di Viso poteva così infrangere il monopolio sabaudo nel trasporto del sale. Le carovane di questi mercanti continuavano poi il viaggio verso l’Europa settentrionale, mantenendosi sempre in quota attraverso passi alpini, per motivi di sicurezza e per evitare il dazio, giungendo fino alla bastionata del Monte Bianco. Di qui, in un percorso molto impegnativo, aggiravano il massiccio della vetta più alta d’Italia e, in Francia, attraverso la pianura, raggiungevano il Lago di Ginevra. Qui si fermava il viaggio a dorso di mulo. Il sale continuava via acqua. Mentre i muli, che come le navi non viaggiano mai scarichi, si rifornivano di nuovi prodotti per il percorso a ritroso.
Da Oneglia partiva la via del sale sabauda, attraverso un impervio percorso tra le montagne, dove i mercanti erano costretti a mantenersi sempre in quota per evitare eccessivi dislivelli e zone pericolose per imboscate e pedaggi più o meno leciti.
Le vie del sale si intersecavano, cambiando nome e direzione, verso Pavia e Milano. Diventano allora la grande via del sale lombarda o dei Malaspina, le vie del sale emiliane verso Parma e Piacenza.
L’asse sud-nord utilizzava i valichi alpini e permetteva al sale che transitava sul territorio italiano di superare le Alpi verso la Svizzera e il Nord Europa. La Via del sale stiriana, invece, dall’alto Adriatico, attraverso Pordenone-Venzone conduceva in Austria.
Un cenno particolare ad alcune vie del sale italiane, forse le vie più antiche: la via Salaria, la Via del Sale di Trapani (nota dai tempi dei Fenici), la via del sale di Firenze (o Volterrana), alcuni importanti percorsi che partivano da Cervia e la via del sale abruzzese.
La via Salaria è un’antica via consolare romana, che collegava Roma con Porto d’Ascoli sul mare Adriatico. Tracciata dagli antichi Sabini nel II millennio a.C. principalmente per il trasporto del sale, fu poi acquisita e migliorata dai Romani. La via Salaria, sul versante occidentale, era destinata a trasportare il sale dal guado del Tevere fino a Roma. Consentiva il collegamento tra il litorale tirrenico e quello adriatico.
Da Cervia a Venezia si viaggiava via mare, attraverso la Rotta del Sale. Da Cervia a Roma, via terra, lungo il Cammino del Sale, un itinerario storico culturale di antica tradizione. Da Cervia a Marradi e Firenze si percorreva “la via del grano e del sale”: il grano della pianura romagnola era indispensabile a Firenze per la sua sopravvivenza e così pure il sale di Cervia.
La Via “ad Salinas” in Abruzzo, è un percorso commerciale storico del sale, ha origini ancestrali, si perde nella notte dei tempi. Era battuto dai popoli Italici prima e dagli antichi romani poi, dalla costa abruzzese verso gli Appennini, legata anche alla transumanza.
La Via del sale siciliana, nota fin dal tempo dei fenici, corre lungo la costa siciliana nel tratto che va da Trapani e Marsala, con ventisette saline e due due riserve naturali, con le Isole dello Stagnone di Marsala, compresa la bellissima isola di Mozia.
Infine la Volterrana, antica strada “salaiola”, che veniva utilizzata dagli Etruschi per unire Fiesole a Volterra, poi, collegata al porto di Piombino. La Volterrana è rimasta strada importante nei secoli: il suo tracciato, ricco di mercatali, ospizi per i viandanti, ospedali per i pellegrini, interseca, a più riprese, quello della Via Francigena.